Nella crisi di Monte dei Paschi di Siena, una soluzione si sta profilando all’orizzonte e, come spesso accaduto nelle ipotesi di criticità delle grandi banche, coinvolge lo Stato. Ad aprirla è Andrea Enria, presidente dell’Eba, che durante un’intervista recente ha aperto esplicitamente a un possibile intervento pubblico per Mps nel caso in cui il piano di JP Morgan e Atlante per l’istituto di credito senese non dovesse funzionare. Pertanto, una sorta di “piano B” che, alla luce di quanto si sta verificando sull’annoso tentativo di ripatrimonializzare la banca con fondi per lo più privati, potrebbe presto profilarsi all’orizzonte.

In particolare, il numero 1 dell’Eba ha dichiarato come “le regole europee garantiscono un certo grado di flessibilità”, aggiungendo quindi che “anche soluzioni private possono essere utili”. Per quanto concerne poi il bail-in, “se si vuole evitare le conseguenze agli obbligazionisti al dettaglio, le banche possono sempre riacquistare i titoli e collocarne di nuovi presso la clientela istituzionale”. Insomma, per Enria gli strumenti in mano allo Stato per poter entrare con ancora maggiore incisività nel tentativo di risanamento della banca più antica d’Italia non mancherebbero di certo, ma sono comunque aleatorie le soglie di applicabilità.

Per questo motivo, ad oggi il tentativo di risoluzione della grave crisi dell’istituto di credito procede su due binari paralleli: da una parte si cerca di non far spegnere l’operazione di mercato che JP Morgan e Mediobanca (in qualità di advisor della banca) stanno alacremente conducendo, cercando di individuare gli anchor investor interessati e, dunque, produrre un aumento di capitale senza diritto di opzione; dall’altra parte, però, si sta cercando di ipotizzare (ben più che una ipotesi, invero) l’intervento statale quale scialuppa di salvataggio da fruire nell’ipotesi in cui il piano degli advisor non vada in porto.

In tal proposito, Milano Finanza ricordava come negli ultimi giorni il governo starebbe segretamente (ma non troppo, visti gli spifferi di corridoio) lavorando auna eventuale garanzia pubblica sull’operazione di rafforzamento patrimoniale, valutata meno dei 5 miliardi di euro inizialmente preventivati. L’ipotesi di un backstop, già vecchia di alcuni mesi, potrebbe pertanto tornare sul tavolo. Anche se, in fin dei conti, rimane pur sempre una sorta di seconda strada nell’ipotesi sventurata in cui il piano dei consulenti svanisse: ipotesi che potrebbe portare a gravi conseguenze di credibilità sul fronte della tenuta Mps, ma potrebbe altresì essere compensata dal supporto statale al faticoso risanamento della banca, che i mercati dovrebbero apprezzare (a dimostrazione di ciò, il balzo di avanti di oltre un punto percentuale, a seguito delle dichiarazioni di Enria).

Per quanto concerne le dichiarazioni dai vertici di Mps, per il momento traspare una prevedibile cautela. Il nuovo amministratore delegato Marco Morelli non ha infatti voluto commentare i tempi e i contenuti del piano industria dell’istituto di credito, rimandando una condivisione con gli stakeholders “esterni” al momento in cui il management sarà pronto. Il presidente del consiglio di amministrazione (dimissionario) Massimo Tononi, ha poi aggiunto che attualmente si stanno ponendo in essere alcune azioni di valutazione sui tempi per la realizzazione del piano industriale, evitando di commentare le voci di possibili 5.000 esuberi.

Occhi aperti, dunque, a quello che potrebbe capitare nel corso delle prossime settimane. Nei piani del top management di Mps c’è infatti la volontà di chiudere l’aumento di capitale entro la fine dell’anno a prescindere dall’esito del referendum, e confidando pertanto nel contributo decisivo degli investitori istituzionali. Se il piano non subirà variazioni, il rafforzamento patrimoniale valutato in 5 miliardi di euro potrebbe essere strutturato in 2 miliardi di euro di conversione dei bond subordinati in azioni, 2 miliardi di euro di aumento di capitale senza diritto di opzione, 1 miliardo di euro provenienti da un nuovo socio “stabile”.