Cominciamo con oggi una serie di focus periodici che ci porteranno alla data dell’8 novembre 2016, un momento di straordinaria importanza non solamente per il territorio statunitense, quanto anche per gli equilibri geopolitici ed economici globali. Insomma, le elezioni americane del prossimo mese sono uno spartiacque fondamentale per i mercati, e dall’esito, come peraltro avviene tradizionalmente, potrebbero dipendere le sorti e i trend dei mercati finanziari, oltre che degli scenari geopolitici e, in parte minoritaria, per quelli di politica economica.

Sondaggi 11 ottobre 2016

Attualmente, i sondaggi sul voto per il Presidente degli Stati Uniti d’America sono molto incerti. E nonostante Trump le abbia provate di tutte per… perdere con grande distacco, al momento si registra solo una lieve prevalenza di Clinton. L’esito è però ancora incerto: in parte l’aleatorietà è dovuta al fatto che i cittadini americani tendono a polarizzarsi sui due schiarimenti opposti, e difficilmente si “disaffezionano” con facilità; in parte per via del sistema elettorale americano, in cui il voto decisivo è quello del Collegio elettorale, e non quello popolare. Ad acuire l’incertezza c’è anche la presenza di due candidati di “terzi partiti”, dell’ampia fetta di potenziali elettori ancora indecisi e della minore affidabilità dei sondaggi in generale.

Pertanto, se per il Congresso la previsione è di una Camera repubblicana e di una maggioranza risicata al Senato (o una parità), con la conseguenza che il Senato potrebbe restare “ostaggio” del potenziale ostruzionismo della minoranza, con conseguente proseguimento dello stallo legislativo che ha caratterizzato gli ultimi sei anni, per il Presidente degli Stati Uniti le sorti sembrano propendere verso la parte democratica.

Niente è tuttavia stato deciso. Come dimostrano i recenti confronti televisivi tra i due candidati principali, i toni sono aspri e i colpi bassi non certo assenti. Inoltre, i temi di fondo della campagna elettorale sono molto diversi da quelli di quattro anni fa, e non tutti già tracciati. Per quanto riguarda la politica in senso ampio, ad esempio, immigrazione e terrorismo sono saliti in cima alla lista. Sul fronte della politica fiscale, invece, quasi nessuno parla di pareggio di bilancio. Alta è la concentrazione sul consolidamento della ripresa, anche se su ritmi molto lenti.

Chi vincerà (e come)

Concentrandoci ora sulle sole elezioni per il presidente (torneremo a parlare del Congresso in separata sede), i sondaggi elettorali ad oggi mostrano la Clinton in leggero vantaggio sul rivale repubblicano che, anche in seguito ai recenti scivoloni (i sondaggi si riferiscono al periodo antecedente i discussi dialoghi sessisti), non è comunque troppo rassicurante. Ricordiamo inoltre che l’elezione del Presidente avviene attraverso il voto dei delegati dei partiti, e che qualche settimana fa è stato notato uno spostamento delle intenzioni di un gruppo di delegati verso uno stadio di incertezza, o verso i repubblicani. Il margine dei delegati “sicuri” fra i due candidati è invece molto contenuto, e c‘è un’ampia fetta di delegati del tutto incerti.

I sondaggi relativi ai primi di ottobre davano Trump in lieve recupero, con un movimento che se non può considerarsi comunque rassicurante per la candidata democratica, potrebbe comunque essere inteso in senso favorevole: un trend del tutto analogo si era infatti registrato nei mesi precedenti il voto del 2012, che aveva però mantenuto la leadership democratica, con la rielezione di Obama. Inoltre, bisogna sempre interpretare con grande attenzione i dati provenienti dai sondaggi, valutando che il sistema elettorale americano non riflette in modo diretto il voto popolare, dato che l’elezione effettiva del Presidente avviene attraverso il Collegio elettorale e ci possono essere risultati con margini anche molto diversi fra i due voti. A titolo di esempio, la rielezione di G. W. Bush avvenne con un margine di 50,7% a 48,3% nel voto popolare, ma uno scarto di 6pp nel voto elettorale. Nel

Si tenga inoltre conto che un ruolo non certo irrilevante sarà giocato dai candidati dei c.d. “terzi partiti”, il cui bacino di voti è tutt’altro che scarso. Alle elezioni di quest’anno, in particolar modo, ci saranno due candidati con una percentuale non irrisoria di voti nei sondaggi (Johnson e Stein). Se i candidati dei terzi partiti dovessero conseguire una ottima performance, tale da impedire a nessuno dei candidati favoriti il raggiungimento della soglia dei 270 voti, il Presidente sarà eletto dalla Camera dei rappresentanti, con un voto per ciascuno stato fra i tre candidati con i maggiori voti elettorali. Se si dovesse profilare un simile scenario (ipotesi teoricamente possibile, ma abbastanza improbabile), ne deriverebbe una sostanziale elezione di Donald Trump: nel 2016, infatti, 33 delle 50 delegazioni statali alla Camera sono in mano ai repubblicani, che potrebbero facilmente eleggere il proprio Presidente. Il vice-presidente sarebbe invece eletto dal Senato, in modo analogo a quello della Camera. Se non si trova un accordo, il presidente della Camera diventa automaticamente il Presidente (in questo caso sarebbe probabilmente Paul Ryan).