Nuove evoluzioni positive per il dollaro statunitense, che anche nella giornata di ieri ha proseguito in maniera ininterrotta il proprio rialzo nei confronti del basket delle principali valute controparte, inaugurando così dei nuovi massimi livelli che corrispondono, in termini di cambio effettivo, a quelli che erano stati abbandonati nel 2003. Dunque, una sorta di ritorno al passato che potrebbe arricchire di incertezze questa parte finale dell’anno. Ma vediamo più nel dettaglio che cosa è accaduto, perché è accaduto, e che cosa potrebbe accadere nel corso delle prossime settimane che ci separano alla fine di un 2016 sicuramente ricco di sorprese e di eventi inattesi, e che potrebbe regalare ancora qualche vivacità a un mercato valutario mai così aleatorio.

USD

Cominciamo, come preannunciato, dal dollaro statunitense. L’ascesa del biglietto verde ha tratto ieri nuovo impulso dalle dichiarazioni di Yellen che ha detto che la Federal Reserve incorporerà la valutazione delle nuove politiche fiscali della presidenza repubblicana di Donald Trump e potrebbe modificare lo scenario sulla base delle nuove misure, mano a mano che verranno rese note: il sentiero dei rialzi nel 2017 sarà, come atteso, verso l’alto ma verrà calibrato sulla base della politica economica delle autorità fiscali. Fino a poche settimane fa l’intenzione sembrava essere quella di dar seguito a una serie di rialzi compresa tra 2 (prudenti) e 4 (ottimisti): oggi è praticamente impossibile sbilanciarsi su quanto sopra, considerando che molto dipenderà dal modo con cui l’amministrazione Trump darà seguito alle proprie politiche fiscali, e non solo.

Tra gli eventi di ieri, particolare attenzione era riposta nelle dichiarazioni della numero 1 della Federal Reserve, Janet Yellen, la quale ha anche ripetuto che il quadro dell’economia è migliorato ulteriormente – a suffragare attese di un rialzo dei tassi il prossimo 14 dicembre – che il mercato dà al 98 per cento, ovvero praticamente per certo. Nel breve il rafforzamento del dollaro potrebbe pertanto proseguire, e anche qualche sorpresa negativa sul fronte macroeconomico non dovrebbe essere in grado di interrompere in misura duratura questa presa di posizione del dollaro statunitense, ora in grado di comprimere verso il basso tutte le principali valute, come l’euro, di cui parleremo nel paragrafo successivo.

EUR

Come riflesso passivo dell’elevata forza del dollaro statunitense, l’euro ha corretto abbondantemente le proprie posizioni scendendo in area 1,05 EUR/USD, dei livelli minimi che aveva abbandonato a dicembre 2015, quando era stato deliberato il primo incremento dei tassi di interesse di riferimento da parte della Federal Reserve. Ora l’euro si trova in una zona molto delicata, prossima al minimo assoluto del 2015 a 1,0458 EUR/USD, e corrispondente a livelli abbandonati nel 2003. Qui i supporti sono molto forti, ma i rischi sono verso il basso, soprattutto con l’avvicinarsi della decisione di rialzare i tassi da parte della Federal Reserve.

Per quanto concerne gli eventi che potrebbero forse evitare l’inaugurazione di nuovi minimi tra 1,04 EUR/USD e la parità (una ipotesi che sembrava essersi definitivamente allontanata, ma che è ora tornata alla ribalta, pur non come scenario principale), potrebbe esserci il comportamento della Banca Centrale Europea, nel caso in cui indicasse la possibilità di chiudere prima del previsto la fase espansiva. A questo proposito ieri Mersch, pur riconoscendo l’adeguatezza della politica attuale, ha detto che lo stimolo (nella sua modalità non-convenzionale) è temporaneo e deve finire prima possibile, aggiungendo che la dimensione del QE è ampia per cui il processo di uscita sarà lungo. L’appuntamento cruciale sarà quindi il discorso di Draghi, anche se è molto difficile cercare di ipotizzare che da tali elaborazioni possano determinarsi delle strategie comunicative molto chiare in tal senso.

GBP

Passiamo quindi alla sterlina britannica, che si è apprezzata ieri sull’ottimo dato delle vendite al dettaglio di ottobre 2016, le quali hanno mostrato un’ampia accelerazione da 0,1 per cento mese su mese a 1,9 per cento mese su mese, contro attese per un modesto 0,5 per cento. Sul dato il cambio GBP/USD si è portato appena sopra 1,2500 ma da qui è poi arretrato sul generale apprezzamento del dollaro, rispetto al quale tuttavia la valuta britannica continua a mostrare una grande capacità di tenuta. Contro euro invece la sterlina si è apprezzata ulteriormente portandosi in area 0,85 EUR/GBP (massimo a 0,8542). La sterlina rimane comunque esposta a rischi verso il basso se dovesse concretizzarsi uno scenario di hard Brexit. In tal proposito, per il momento le possibilità che l’hard Brexit possa effettivamente determinarsi stanno diminuendo a causa principale degli effetti scaturiti dalle decisioni dell’Alta Corte britannica, che ha sottoposto l’esito del referendum sull’uscita dall’Unione Europea alla decisione parlamentare. Dando per scontato che il Parlamento vada a confermare la scelta degli elettori, rimane però da comprendere in che modo riuscirà a negoziare l’uscita dall’area comune: probabilmente verranno chieste delle garanzie di soft Brexit, anche se per il momento i presupposti non sembrano essere migliori, e il governo May sembra tenere la linea dura. Vedremo che cosa accadrà nelle prossime settimane, cruciali per poter orientare delle negoziazioni più serene, che dovrebbero comunque partire in ritardo rispetto a quanto auspicato dall’esecutivo della premier May (marzo 2017).

JPY

Concludiamo infine con lo yen. Ieri la Bank of Japan ha annunciato la sua prima nuova operazione di acquisto di JGB a tasso fisso per una quantità illimitata, facendo deprezzare lo yen fino in area 110 USD/JPY – minimo a 110,93 USD/JPY. Sull’ampliarsi della divergenza tra BoJ e Fed il deprezzamento dovrebbe proseguire, anche se non in maniera considerevole.

Dunque, quel che ci attende nel corso delle prossime settimane è la realizzazione dell’accelerarsi delle divergenti politiche monetarie tra Fed, Bce, Boj e Boe. Le quattro banche centrali daranno seguito a decisioni non più rinviabili al futuro, contribuendo a rendere un po’ più chiaro un mercato valutario che ha vissuto di costante attesa per buona parte del 2016, e che sembra ora essersi orientato finalmente verso una fase più operativa e meno riflessiva.