Diventare genitori è un’esperienza stupenda, ma i nuovi arrivati hanno anche bisogno di tante attenzioni, soprattutto quando sono molto piccoli: fortunatamente l’ordinamento italiano ha previsto degli interessanti strumenti a favore di chi diventa mamma o papà; siccome è facile che si crei un po’ di confusione tra questi strumenti, in questa pagina spiegheremo quali sono le differenze tra la maternità obbligatoria e quella facoltativa.

Le differenze tra maternità obbligatoria e maternità facoltativa

La differenza principale tra la maternità obbligatoria e quella facoltativa si capisce immediatamente dal nome dei due strumenti: quella obbligatoria è, appunto, obbligatoria, nel senso che la lavoratrice incinta non può rinunciarvi; la maternità facoltativa, che molto spesso viene chiamata congedo parentale, può essere richiesta dal genitore (anche dal padre) nell’arco dei primi dodici anni di vita del figlio. Ci sono poi differenze a livello di durata e trattamento economico: andiamo a scoprirle parlando in modo più dettagliato dei due strumenti.

La maternità obbligatoria ha una durata di cinque mesi: c’è molta elasticità nella distribuzione di questi mesi, visto che la donna può scegliere se astenersi dal lavoro due mesi prima e tre mesi dopo il parto, oppure un mese prima e quattro mesi dopo la nascita del bambino. In casi eccezionali (ovviamente quando non c’è alcun rischio per la mamma e per il bambino che porta in grembo) i cinque mesi di maternità obbligatoria possono essere sfruttati solo nella fase post parto. Alla lavoratrice in maternità obbligatoria viene riconosciuta una retribuzione pari all’80% della sua paga giornaliera: l’indennità è riconosciuta per tutte le giornate lavorative (esclusi quindi le domeniche ei festivi).

La maternità facoltativa invece può esser richiesta nel corso dei primi dodici anni di vita del figlio: ha una durata di sei mesi e viene riconosciuta solo alle lavoratrici con un contratto in essere; le lavoratrici autonome hanno a disposizione solo tre mesi che devono utilizzare durante il primo anno di vita del figlio. Il congedo parentale può essere richiesto anche dai padri con una durata massima di sette mesi. Per i genitori soli la durata del congedo parentale è aumentata a dieci mesi. Il calcolo dell’indennità è un po’ più complicato rispetto a prima: durante i primi sei anni di vita del figlio al genitore viene riconosciuto il 30% della paga giornaliera; tra i sei e gli otto anni del bambino c’è il riconoscimento dell’indennità pari al 30% della paga giornaliera solo se il reddito individuale del genitore non supera l’importo del trattamento minimo di pensione moltiplicato per 2,5; dagli 8 ai 12 anni di età del bambino non è prevista alcuna retribuzione, ma solamente la possibilità di assentarsi dal posto di lavoro.

Pagamento delle indennità e maternità anticipata

Le indennità di maternità vengono pagate dall’INPS, ma nella maggior parte dei casi le somme vengono anticipate dal datore di lavoro, che poi le recupera tramite successivi sgravi contributivi. Per alcune categorie di lavoratrici (stagionali, operaie agricole, lavoratrici dello spettacolo a termine o saltuarie, addette ai servizi familiari e domestici) la legge prevede che l’indennità venga pagata direttamente dall’istituto previdenziale. Esiste anche un terzo tipo di maternità, quella anticipata, che può essere disposta dal medico quando ci sono delle gravidanze a rischio, oppure dall’Ispettorato Territoriale del Lavoro quando le condizioni lavorative non siano adatte ad una persona in stato interessante; in questi casi la lavoratrice ha il diritto di assentarsi subito dal lavoro, percependo l’indennizzo massimo.