Negli scorsi giorni abbiamo brevemente delineato quel che è accaduto nei confini statunitensi: la sorprendente elezione di Donald Trump alla presidenza del Paese ha certamente rovinato i piani della maggior parte degli analisti… almeno per quanto concerne lo scenario principale. Val dunque la pena rispolverare il proprio piano B, e mettersi alla ricerca di nuove linee guida per investire correttamente sulle valute, nel prossimo breve periodo.

Per far ciò, non possiamo che cominciare ribadendo come la scorsa settimana il dollaro statunitense abbia proseguito l’ampia e veloce rimonta rivedendo i massimi del mese scorso che sono quasi i massimi dell’anno, quelli di inizio febbraio. In altri termini, l’idea che si sta formando sui mercati finanziari è che sul fronte economico la presidenza Trump avrà come priorità quella non solo di fornire ampio supporto alla crescita ma di riportarla più stabilmente su livelli più elevati, anche a costo di metter mano in maniera pesante al deficit. L’effetto di una simile politica sarebbe certamente rialzista sull’inflazione, e la risposta della Federal Reserve dovrebbe dunque essere quella di “compensare” andando ad alzare i tassi ufficiali di riferimento tempestivamente – iniziando da dicembre, che da diversi mesi sembra essere il timing più appropriato – e forse un po’ più di quanto ci si potesse attendere fino al giorno prima del risultato elettorale.

Probabilmente è proprio in questo modo che si spiegano le reazioni tendenzialmente rialziste della curva dei rendimenti USA e non solo il rimbalzo veloce e ampio del dollaro, ma un rimbalzo che lo ha visto superare con facilità i livelli pre-elezioni. L’apprezzamento del dollaro è inoltre stato particolarmente forte contro euro, yen, franco svizzero, dove domina il tema della divergenza di politica monetaria tra Fed da una parte e BCE, BoJ, SNB dall’altra.

Tra le varie valute emergenti, il caso più eclatante è certamente rappresentato da quanto accaduto nei confronti del peso messicano, del real brasiliano, dello yuan e delle valute asiatiche, nonché della lira turca e dello zar sudafricano, dove domina il tema dell’avversione al rischio in generale e del rischio di politiche protezionistiche in particolare. Nel breve termine le pressioni rialziste sul dollaro dovrebbero mantenersi – in misura più o meno marcata a seconda dei casi – fintantoché i mercati consolideranno sui nuovi livelli incorporando “definitivamente” uno scenario più ottimistico sulle prospettive di crescita dell’economia USA.

Un discorso parzialmente diverso dovrebbe invece riguardare il dollaro statunitense nel medio termine, visto e considerato che passata questa fase transitoria la valuta verde dovrebbe iniziare a fare marcia indietro, nella misura in cui i temi più controversi della nuova amministrazione Trump andranno materializzandosi. Il più delicato è quello del protezionismo che, se attuato massicciamente, stimolerebbe un effetto svalutazione da parte della Cina e di altre economie emergenti, con effetti di ritorno generalmente non favorevoli. Rispetto alle majors, l’effetto traino di un’economia USA più forte potrebbe accelerare il sentiero della normalizzazione delle politiche monetarie da parte delle altre banche centrali, con il rispristino di una direzionalità dei differenziali di tasso/rendimento e conseguente seppur graduale risalita delle altre valute rispetto al dollaro.

Di contro, in uno scenario quale quello sopra appena delineato, l’euro dovrebbe pertanto trovarsi ancora sottoposto a pressioni ribassiste nel brevissimo termine, in vista di un rialzo dei tassi ufficiali di riferimento della Federal Reserve a dicembre e simultaneamente di un’eventuale estensione del quantitative easing della BCE nel corso della riunione in programma per lo stesso mese. Ad ogni modo, è molto difficile che la concomitanza dei due eventi (incremento dei tassi fed funds da una parte, allungamento e modifica del quantitative easing dall’altra) possa determinare un calo delle quotazioni dell’euro al si dotto della soglia limite 1,05 EUR/USD, purché la Federal Reserve non riveda lo scenario sui tassi già a dicembre prospettando più rialzi dei due che ha preventivato a settembre per il 2017. Si tratta però di un’ipotesi che riteniamo non probabile: a dicembre la Federal Reserve ritoccherà i tassi (salvo clamorose notizie negative nelle prossime settimane), nella misura di 25 punti base, e assumerà una posizione molto cauta per quanto attiene il prossimo anno.

A proposito di prossimo anno, nel 2017 la prospettiva che la BCE non abbia più bisogno di aumentare lo stimolo monetario e si avvii verso la chiusura della fase espansiva dovrebbe agevolare l’inizio di una risalita dell’euro, che sarà però tanto più graduale e limitata quanto più la Federal Reserve aprirà le porte alla possibilità di un sentiero di rialzi dei tassi più deciso rispetto alle previsioni attuali. Insomma, sarà ancora una volta l’opposizione o la sinergia delle politiche monetarie delle due banche centrali a influenzare in modo significativo il corso delle valute.

Chiudiamo infine ricordando che il calo dello yen dovrebbe proseguire già nel breve termine e se la Federal Reserve si trovasse effettivamente ad alzare i tassi più del previsto già l’anno prossimo gli obiettivi ribassisti della valuta nipponica si abbasserebbero a 115 USD/JPY almeno. Per quanto concerne la sterlina, la valuta britannica dovrebbe confermare un maggior livello di autonomia rispetto agli scenari USA post-vittoria di Trump, come peraltro ben emerso nel corso degli ultimi giorni. L’accresciuta prospettiva di una soft Brexit – che tuttavia è ancora tutta da verificare e il primo test si avrà a inizio dicembre in corrispondenza della sentenza della Corte Suprema sul ruolo del parlamento nell’iter procedurale di Brexit – sta infatti provocando una maggior resilienza della sterlina rispetto all’euro, che perdurerebbe se lo scenario di soft Brexit dovesse effettivamente materializzarsi. Nelle prossime settimane comunque, in attesa del verdetto della Corte, saranno i dati a dominare la dinamica del cambio ed eventuali delusioni tornerebbero a indebolire la sterlina.