Nonostante le previsioni pessimistiche degli analisti, che stimavano uno shock durevole finanziario in caso di vittoria del candidato repubblicano, Wall Street reagisce in modo positivo all’elezione di Donald Trump, e i tre indici più rappresentativi della Borsa americana registrano importanti rialzi tornando sui livelli degli ultimi mesi, trainati maggiormente dai comparti che potrebbero beneficiare di una politica fortemente espansiva dichiarata dal nuovo Presidente statunitense.
Sul perché i mercati finanziari hanno spinto in maniera così decisiva al rialzo, forse varrebbe la pena rammentare il buon effetto derivante dal discorso di accettazione di Trump dal quale è emerso un atteggiamento più bilanciato con toni che sembrano più istituzionali e lontani dai proclami della campagna elettorale ai quali ci aveva abituato negli ultimi mesi. Inoltre, la vittoria repubblicana, anche per quanto riguarda i seggi alla Camera e al Senato, prospetta una maggiore governabilità del Paese. Ricordiamo, infatti, che nell’ipotesi di vittoria di Hillary Clinton, la candidata democratica si sarebbe trovata dinanzi a una Camera a maggioranza repubblicana, e a un Senato sostanzialmente spaccato.
Di qui ne è derivata una buona ondata di acquisti, che ha caratterizzato principalmente i comparti Finanziario, Farmaceutico e quelli legati alle infrastrutture. La reazione positiva è poi proseguita sulle Piazze asiatiche, che nella giornata precedente erano state quelle ad aver registrato le più pesanti flessioni (la chiusura di tali piazze finanziarie è avvenuta prima del discorso di Trump).
Discrete notizie anche sul fronte dei titoli di Stato. L’elezione, inattesa, di Trump a nuovo Presidente degli Stati Uniti e la conquista di una maggioranza non di misura in Congresso da parte dei repubblicani ha infatti visto una reazione sostanzialmente contenuta da parte dei mercati obbligazionari, e sicuramente contraria rispetto al potenziale shock che invece molti analisti avevano previsto. Anche in questo caso, infatti, a margine dell’iniziale incertezza dettata dalla sorpresa del risultato, la lettura degli operatori sembra essere stata quella di un mandato complessivamente reflazionistico che, viste le promesse di politica fiscale fortemente espansionistica e quelle di una politica estera protezionistica, dovrebbero stimolare la crescita (almeno nel breve termine) con maggiore crescita nominale e deficit più ampi, determinando così mercati azionari in rialzo e mercati obbligazionari in calo (con rendimenti più alti).
Diamo quindi uno sguardo al mercato dei cambi, gli operatori si sono concentrati sul dollaro statunitense. La valuta USA tende quindi a stabilizzarsi dopo le forti oscillazioni seguite al risultato elettorale delle Presidenziali. Gli investitori, intimoriti da Trump, prima hanno venduto la divisa USA e alcuni asset rischiosi per poi far seguire un recupero quasi totale delle posizioni. Nonostante prevalga una certa incertezza circa la linea politica della nuova amministrazione (d’altronde, la novità è assoluta per tutti, considerato che Trump non ha esperienza politica), gli operatori scommettono su una politica fiscale espansiva e inflazionistica che ha rispinto verso l’alto i tassi di mercato americani, riportando gli acquisti anche sul biglietto verde. In ambito commodities, le risorse di base sono positive visto il ritorno di una certa tranquillità dopo il risultato a sorpresa della vittoria di Trump. In rialzo le quotazioni petrolifere dopo un avvio di seduta in calo legato all’accumulo di scorte ieri negli USA Il focus sul petrolio resta comunque sul meeting OPEC del prossimo 30 novembre a Vienna dove verranno ratificati i tagli produttivi.
A questo punto, almeno sugli ultimi due mercati citati (Forex + Commodities), l’attenzione si sposta, oltre che sulle evoluzioni di presunti ritorni di shock post elettorale, su due avvenimenti che potrebbero cambiare le prospettive per la prima parte del 2017. Per quanto attiene il Forex, il focus è sulla riunione della Federal Reserve di dicembre, nella quale fino a poco tempo fa sembrava scontata una scelta di incremento dei tassi di interesse di riferimento di 25 punti base. L’elezione di Trump non era nei “programmi” dei policy maker e potrebbe rovinare i piani già “scritti”. In realtà, però, riteniamo che anche adesso lo scenario centrale sia quello di un incremento dei tassi: riteniamo altresì che la Fed assumerà una posizione di attesa per qualche settimana, digerendo con maggiore consapevolezza l’evoluzione delle potenziali tensioni sui mercati finanziari e acquisendo ulteriori spunti sul fronte dei numeri macro.
Per quanto concerne invece le materie prime, molto dipenderà dalla ricordata riunione OPEC di Vienna, il 30 novembre. Per il momento i propositi sembrano buoni, ma occorrerà certamente andare al di là delle valutazioni di facciata e comprendere se tutti i Paesi accetteranno il piano di riduzione di quote (il riferimento è soprattutto a quei Paesi che non gradiscono un taglio delle proprie quote, dopo esser recentemente tornati al commercio internazionale, come l’Iran). Inoltre, bisognerà comprendere altresì se i nuovi ritmi di produzione saranno sufficienti per riequilibrare il mercato, e se saranno altresì necessarie delle intese più o meno esplicite con l’area non OPEC.