Ad inizio settimana il petrolio, contrariamente a quanto avvenuto nei confronti di una buona parte delle commodity, ha visto le proprie quotazioni in calo a fronte di un rialzo dell’avversione al rischio causato dalle ravvivate preoccupazioni sulla Brexit. Il tutto, mentre dall’altra parte dell’Oceano Atlantico venivano pubblicati dei dati piuttosto incoraggianti sul settore manifatturiero cresciuto ad un passo moderato, e suggerendo un modesto miglioramento dopo l’inattesa contrazione di agosto. Per comprendere tuttavia come si stia profilando il nuovo trend che potrebbe contraddistinguere l’evoluzione delle quotazioni del greggio e delle materie prime nei prossimi giorni, procediamo per step partendo da quel che è accaduto a Londra, dove i timori per gli effetti della Brexit si sono improvvisamente riaccesi.

Brexit torna a far paura?

Negli ultimi giorni la sterlina ha attraversato una fase di significativo calo, che ha condotto la valuta britannica a scendere sotto il minimo sperimentato nel post-referendum del 23 giugno scorso, e portandosi poi sotto quota 1,2770 GBP/USD. Si noti come a nulla siano servite le informazioni macroeconomiche piuttosto positive, considerato che l’ondata dei dati pubblicati è stata valutata come molto soddisfacente: tra i vari dati, il PMI manifatturiero ha ad esempio fornito un incoraggiante aumento su livelli molto elevati (praticamente, il massimo da più di due anni, da giugno 2014, contro attese invece di calo).

Sul perché la sterlina abbia pertanto corretto la rotta in misura così rilevante ci ha pensato la serie di dichiarazioni sulle conseguenze della Brexit, che hanno aperto dei sentimenti non troppo ottimisti sul futuro a breve e a medio termine. In particolare, ad alimentare i nuovi timori sono stati gli annunci del primo ministro Theresa May, che ha anticipato che l’articolo 50 del trattato di Lisbona (quello che, in altri termini, farà partire il biennio di negoziazione) verrà invocato entro marzo 2017. Solamente allora verranno avviate le procedure operative per cercare di disciplinare pacificamente l’uscita effettiva del Regno Unito dall’Unione Europea: e sarà proprio da allora che le incognite sui termini e i risultati delle negoziazioni inizieranno a pesare in misura significativa sulle impressioni dei mercati finanziari. Si noti altresì come il termine di marzo 2017 non sia particolarmente gradito all’Unione Europea, che avrebbe invece preferito un avvio ben più precoce delle negoziazioni, al fine di non conferire ulteriore tempo “preparativo” alla propria controparte. Questa e altre evidenze stanno inducendo molti osservatori a ritenere che il biennio di negoziazione tra le parti non stia partendo con il piede più positivo. E, almeno ai fini dei trader, bisognerebbe tenere conto come questo costante effetto incertezza finirà con il prevalere temporaneamente sui dati, anche se questi (come accaduto negli ultimi giorni con il PMI composito) dovessero essere particolarmente positivi. Dunque, in questi giorni (e non solo) i rischi sono sostanzialmente rivolti verso il basso. Altrettanto naturalmente, sarà molto interessante cercare di capire quale sarà la forza di questa incertezza, domandandosi per quanto tempo ancora l’effetto dell’aleatorietà riuscirà a prevalere rispetto a una serie di dati positivi.

Brent in ripresa

Passando alle quotazioni del petrolio, si noti come il Brent ha ritracciato dopo aver superato il livello di 50 dollari al barile per la prima volta da inizio settembre. A pesare sulle quotazioni del greggio non è solamente il rinnovato timore che la Brexit possa mescolare (negativamente) le carte in tavola nel vecchio Continente, quanto soprattutto i dubbi che un eventuale annuncio in novembre riguardo un taglio di produzione cumulata da parte dei membri OPEC (al meeting di Vienna) sarebbe inefficace. Sono tanti, d’altronde, i punti di grave e profonda incertezza.

Tra i vari, non possiamo non ricordare come negli ultimi giorni alcuni importanti produttori abbiano espresso il proprio disaccordo sul metodo di calcolo delle quote, e che altri hanno contemporaneamente dichiarato la propria intenzione di espandere ulteriormente l’output, in senso totalmente inverso rispetto a quello che avrebbe ispirato il primo preliminare accordo siglato ad Algeri: l’Iraq ha comunicato ad esempio di non voler accettare le stime OPEC riguardo i suoi attuali volumi di produzione, mentre la Nigeria e l’Iran saranno probabilmente esentate, aumentando dunque la propria offerta. A conferma di ciò, l’agenzia di stampa IRNA ha riportato che l’Iran vorrebbe incrementare le esportazioni sino a 2,35 milioni di barili al giorno nei prossimi mesi, in rialzo dall’attuale livello di 2,2 milioni di barili al giorno.

A complicare ulteriormente il quadro è anche l’evidenza che pure nell’area fuori OPEC il panorama non è dei più rassicuranti: l’offerta non-OPEC resta infatti abbondante e potrebbe aumentare ancora la propria proposta. Si noti come, ad esempio, il ministero dell’energia russo abbia appena pubblicato dei dati che mostrano come l’output domestico di greggio sia salito a 11,11 milioni di barili giornalieri a settembre e, che negli Stati Uniti i contemporanei dati di Baker Hughes abbiano evidenziato come la settimana scorsa il numero di trivelle petrolifere in attività sia cresciuto di altre 7 unità a 425 trivelle, il massimo da febbraio.

Per quanto concerne invece il Wti, l’altro principale indicatore dei prezzi internazionali del greggio, la curva dei prezzi sembra essersi sostanzialmente appiattita, con lo spot salito più dei prezzi forward, suggerendo il crescente interesse dei produttori indipendenti a coprire il proprio output negli anni 2017 e 2018. Già negli ultimi mesi diversi funzionari di alcune società petrolifere avevano rivelato l’intenzione di approfittar di temporanei rialzi delle quotazioni per coprire la produzione futura.

Insomma, come risulta ben evidente, il quadro internazionale, politico ed economico, rimane particolarmente intricato. Delle due leve di cui oggi abbiamo parlato, l’impressione è che difficilmente riusciranno ad essere manovrate con opportuna congruità nelle prossime settimane. Le tappe di avvicinamento al mese di marzo 2017, quando il Regno Unito avvierà le negoziazioni con l’Unione Europea per disciplinare la sua uscita, saranno molto importanti per poter condizionare le formalità vere e proprie (e le premesse non sembrano essere le migliori). Per quanto invece concerne i livelli di offerta del greggio, sarà difficile, o quasi impossibile, cercare un accordo significativo tra le parti, con la conseguenza di generare nuove pressioni al ribasso nel breve e medio termine.